L’oggetto del processo tributario consiste nello stabilire l’effettiva esistenza del credito che l’Amministrazione Finanziaria afferma di vantare nei confronti del contribuente, per cui sarà dovere dello stesso Ente impositore dimostrare l’esistenza ma soprattutto la fondatezza di tale credito. In altri termini è l’Amministrazione Finanziaria che assume la veste di attore in senso sostanziale e soltanto la particolare configurazione tecnica del processo tributario a condurre alla qualificazione di attore (in senso formale) del contribuente. Nel caso di specie, il ricorrente ha allegato documentazione da cui emerge come lo stesso sia nudo proprietario dell’immobile essendo in capo a terzi l’usufrutto dello stesso.
Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. 24, Sentenza n. 7431/2018 R.G. n. 8790/2017.
E’ onere del datore di lavoro una volta riconosciuto con l’emissione delle buste paga quanto spettante al lavoratore, fornire la prova dell’avvenuto pagamento delle stesse.
Tribunale di Roma, sez. Lavoro, Sentenza n. 4967/2018 R.G. n. 17943/2016.
L’intempestiva costituzione impedisce non solo la deduzione delle eccezioni non rilevabili di ufficio, ma più generalmente il compimento di tutte le attività processuali per cui sia maturata preclusione, ivi compresa, dunque, la produzione di documenti oltre il termine perentorio di cui all’art. 32, comma 1 D.lgs. 546/92 . Detto termine è, infatti, da ritenersi perentorio in quanto posto a garanzia del diritto di difesa delle parti in giudizio, essendo diretto ad assicurare il necessario contraddittorio, che presuppone la piena conoscibilità in capo alle parti del materiale probatorio reciprocamente prodotto.
Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. 40, Sentenza n. 3287/40/2018 R.G. n. 11502/2016.
Art. 5 della Legge n. 91/1992 (secondo cui “il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana … dopo tre anni dalla data del matrimonio se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale”). Le uniche cause ostative della concessione della cittadinanza sono lo scioglimento l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e la separazione personale dei coniugi. In tal senso Corte di Cassazione n. 969/2017 per cui ai sensi dell’art. 5, comma 1, della Legge n 91 del 1992 così come modificato dall’art. 1 comma 11 Legge n. 94/2009, la separazione personale dei coniugi costituisce condizione ostativa all’acquisto della cittadinanza italiana mediante matrimonio con un cittadino italiano, ma non anche la separazione di fatto condivisibilmente aggiungendo nella parte in motivazione, che le condizioni ostative al riconoscimento della cittadinanza italiana “non possono essere fondate su clausole elastiche, ma su requisiti di natura esclusivamente giuridica, predeterminati e non rimessi ad un accertamento di fatto dell’autorità amministrativa, come desumibile anche dall’esame dell’altre specifiche condizioni interdittive, l’annullamento, lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
Tribunale di Roma Sentenza n. 747/2018.
La Suprema Corte ha stabilito il principio temporale di valutazione di un terreno edificabile o meno e lo ha individuato nel momento in cui lo strumento urbanistico nel quale risulta inserito è stato legittimamente adottato dal Consiglio Comunale indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della regione e delll’adozione di strumenti urbanistici attuativi .
Commissione Tributaria Regionale di Roma- Sez. 9 - Sentenza n.7864/2017 e Sentenza n.187/2018.
Valida la notifica ex art. 140 se l’ufficiale attesta comunque presenza del nominativo in cassetta: “anzi conferito con nipote il quale respinge copie e dichiara che il destinatario si trova al momento e temporaneamente all’estero (in quanto pilota), rinvenendo nominativo in cassetta postale procedo alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c.”.
Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sez. 24, Sentenza n. 7431/2018 R.G. n. 8790/2017.
Tribunale di Roma Ordinanza del 22 gennaio 2018 RG. 12291/2017.
Opposizione. Concessione provvisoria esecuzione in prima udienza.
Tribunale di Roma sez. Lavoro Ordinanza nrg. 17943/2017.
Lo strumento cautelare previsto dall’art. 696 bis c.p.c., come si evince dallo stesso tenore della norma, ha un ambito di operatività circoscritto alle liti vertenti sui diritti di credito, abbiano essi matrice contrattuale o extracontrattuale; non è invece legittimamente utilizzabile nelle controversie aventi ad oggetto diritti assoluti, come i diritti reali, sia che si tratti di accertarne l’esistenza, sia che l’oggetto del contendere sia la loro estensione o la loro tutela (v. l’ordinanza emessa da questa V Sezione in data 12.03.2015 nel procedimento R.G. n. 79163/2014). Presupposto per l’applicabilità dell’istituto previsto dall’articolo 696 bis cod. proc. civ. è che la controversia fra le parti abbia come unico punto di dissenso ciò che in sede di processo di cognizione può costituire oggetto di consulenza tecnica, acquisita la quale, secondo le intenzioni dichiarate dalle parti, appare probabile che esse si concilieranno, non residuando - con valutazione da compiersi in concreto ex ante -, altre questioni controversie. Pertanto, non può farsi ricorso ad esso quando le parti, controvertendo sulla effettiva sussistenza dell’obbligazione o sulla individuazione del soggetto ad essa tenuto, condizionino la decisione della causa di merito alla soluzione di questioni giuridiche complesse o all’accertamento di fatti estranei all’ambito di indagini di natura tecnica.
Tribunale di Roma, sez. V civile, Ordinanza cautelare n. 61598/2017.
Non è possibile, dilatare a dismisura l'ambito di applicazione dell'art.2560, secondo comma, cod. civ., includendo nella previsione di solidarietà obbligazioni non ancora venute alla luce, sulla sola base di un documentato fatto genetico mediato e dunque introducendo, un mero rischio di sopravvenienza passiva, anziché un debito già maturato ed annotato nei libri contabili, come testualmente previsto dalla norma, tuttavia, la ricostruzione ermeneutica così delineata dell'ambito applicativo dell'art. 2560, cpv., cod. civ. incontra un limite -stante la continuità dei rapporti giuridici pendenti – nei casi di cessione, come nella fattispecie, in cui, pure, è ravvisabile una perdurante identità soggettiva - sostanziale, se non formale - significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri, estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare nell'azienda, sottesa all'art.2560 cod. civile.(Cass Sez. U - , Sentenza n. 5054 del 28/02/2017).
Ne consegue che, essendo la società cessionaria interamente riconducibile a due dei soci della società cedente, sussistono i requisiti sopra delineati per ritenere estensibile una responsabilità solidale indipendentemente dalle vicende afferenti all’iscrizione dei crediti nei libri sociali e all’effettiva o meno esecuzione del contratto.
Sentenza impugnata è sentenza di rigetto dell’opposizione e, quindi, non contiene capi esecutivi, ad eccezione di quella sulle spese, in relazione alla quale non è stato dedotto alcun pregiudizio e di conseguenza l’istanza ex art. 283 c.p.c. proposta è inammissibile. Trova pertanto applicazione nel caso di specie l’ultimo comma dell’art. 283 c.p.c. (inserito dall’art. 27 della l. 12.11.2011 n. 183) secondo cui se l’istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad € 250,00 e non superiore ad € 10.000,00. L’ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio. Si ritiene conforme ad equità determinare la pena pecuniaria, tenuto conto del rilievo economico della controversia, della evidente insussistenza dei presupposti di legge per l’accoglimento della istanza, del tempo occorso al collegio (elemento rilevante, dato il carattere sanzionatorio della disposizione) per scrutinare la vicenda del numero e della quantità degli atti esaminati e delle parti e del tempo così sottratto alla decisione di istanze invece ammissibili nell’importo di € 5.000,00 .
Tribunale di Roma,, Ordinanza nrg. 87139/2016; Tribunale di Roma, Sentenza n. 13777/2017; Corte di Appello di Roma, Ordinanza n. 5623/2017.
La giurisprudenza di merito ha chiarito che “non può concedersi la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ex art. 648 c.p.c. - e se già concessa va sospesa in forza dell'art. 649 c.p.c. - qualora l'attore opponente abbia tempestivamente provveduto a disconoscere la scrittura privata contro di lui prodotta” (Tribunale di Latina del 20.02.1996); a favore di detta opzione interpretativa, sussistono anche disposizioni del codice di rito tra cui l’art. 186 ter c.p.c. secondo cui “la provvisoria esecutività non può essere mai disposta ove la controparte abbia disconosciuto la scrittura privata prodotta contro di lei”.
Tribunale di Roma, Ordinanza nrg. 50748/2017.
Concessione provvisoria esecuzione in prima udienza e fissazione termine perentorio per proporre negoziazione assistita/mediazione quale condizione di procedibilità della domanda di opposizione a decreto ingiuntivo.
Tribunale di Rieti, Ordinanza nrg. 699/2017.
In tema di esecuzione esattoriale, la circostanza che, a seguito di opposizione, risulti l'illegittimità dell'azione esecutiva per ragioni ascrivibili all'ente creditore interessato, non integra motivo di esclusione della condanna alle spese di lite nei confronti dell'agente della riscossione né, in sé considerata, di compensazione delle stesse; peraltro, restano ferme la facoltà dell'agente della riscossione di chiedere all'ente creditore di essere manlevato dall'eventuale condanna alle spese in favore del debitore vittorioso, nonché la possibilità, per il giudice, di compensare le spese tra il debitore e l'agente della riscossione, condannando al pagamento delle spese soltanto l'ente creditore interessato o impositore, se presente in giudizio, ove sussistano i presupposti dell'art. 92 c.p.c., diversi ed ulteriori rispetto alla sola circostanza che l'opposizione sia stata accolta per motivi riferibili al medesimo ente creditore (Cass. 6 febbraio 2017, n. 3105; 7 febbraio 2017, n. 3154; 11 luglio 2016, n. 14125).”.
Tribunale di Roma, Sentenza n. 25497/2015 e Corte di Cassazione, sez. VI, Ordinanza n. 26844/2017.
ai sensi e per gli effetti dell’art. 644 c.p.c “il decreto d’ingiunzione diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia”. Mancata produzione fascicolo monitorio: Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si verifica una inversione della posizione processuale delle parti, mentre resta invariata la posizione sostanziale. La documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata per effetto della opposizione, ad entrare nel fascicolo della ricorrente, restando a carico della parte l’onere di costituirsi nel giudizio ordinario di cognizione depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione; i difetto di tale produzione la documentazione non entra a far parte del fascicolo d’ufficio ed il Giudice non può tenerne conto.
Tribunale di Roma, Sentenza n 18158/2017.
Il lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare ha l’onere di contestare specificamente gli addebiti precisando le sue discolpe (Cassazione Sezione Lavoro n. 3604 del 16 febbraio 2010, Pres. Roselli, Rel. Monaci). Se, infatti, la contestazione è precisa, è onere del lavoratore ribattere in maniera altrettanto precisa, non essendo sufficiente una difesa generica sia in fase disciplinare che processuale [“Nel rito del lavoro in sede di giudizio (e, per molti aspetti, anche nella fase preliminare che precede il giudizio) la parte cui sia stato mosso un addebito riferito a fatti circostanziati non può limitarsi ad una difesa generica, ma deve rispondere a sua volta in maniera specifica, contrapponendo specifici elementi diversi tali da escludere l’esistenza di quelli posti a base dell’addebito. Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 416 c.p.c., …. Ogni parte deve prendere posizione, in maniera specifica e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dalla parte avversaria. Questo obbligo non è a carico soltanto del convenuto, ma anche dell’attore, come ha chiarito la Corte Costituzionale con la sentenza 14 gennaio 1977, n 13, nella quale ha affermato che “è da del escludere che gli artt. 414 e 416 Cod. proc. civ.,… nel disciplinare, secondo i principi di concentrazione immediatezza e semplificazione della procedura a cui si ispira il nuovo rito del lavoro, l’attività difensionale delle pari, e i relativi poteri e preclusioni, abbiano operato fra di esse discriminazioni che ne incrinino la posizione di parità. In particolare è da escludere che la non tempestiva indicazione, nel ricorso dell’attore come nella memoria di costituzione del convenuto, delle domande, eccezioni, mezzi di prova, documenti ecc., solo per il secondo, e non anche per il primo sia colpita da decadenza. La lettura sistematica del dato normativo, anche alla luce dei lavori parlamentari, conferma infatti che tale sanzione, benché espressamente sancita … solo per il convenuto, deve ritenersi prevista, sia pure in modo implicito, in base al disposto dell’art. 414, n. 5, c.p.c. e dell’art. 420 c.p.c., anche per l’attore, … …”.
Così Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 7327/2017.
Dovuto il risarcimento del danno conseguente al disservizio di servizi di telefonia da liquidarsi anche in via equitativa. Non dovute le somme richieste per la fornitura del servizio di telefonia dal quale sia conseguito un disservizio per l’utente.
Tribunale di Roma, Sentenza n.17315/2017.
in caso di pattuizione di caparra confirmatoria, ai sensi dell'art. 1385, cod. civ., la parte adempiente, per il risarcimento dei danni derivati dall' inadempimento della controparte, può recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o esigere il doppio di essa), avvalendosi della funzione tipica dell' istituto, che è quella di liquidare i danni preventivamente e convenzionalmente, così determinando l'estinzione ope legis di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell'inadempimento ad esso. L’immobile è stato oggetto di mutamento di destinazione d’uso in difetto dei titoli abilitativi talchè copia della presente sentenza deve pertanto essere trasmessa, a cura della Cancelleria, alla Procura delle Repubblica presso il Tribunale di Roma per quanto di eventuale competenza in ordine ai reati edilizi.
Tribunale di Roma, Sentenza n. 15003/2017.
L’art. 603 Cod. nav. Prevede tra i foro alternativi il circondario in cui è iscritta la nave o il galleggiante ovvero è concluso o eseguito o cessato il rapporto di lavoro ovvero se trattasi di ingaggio non seguito da arruolamento il luogo dove è pervenuta la proposta al marittimo; tuttavia l’opponente nell’atto introduttivo fa riferimento al luogo di inizio e cessazione del rapporto, nonché al luogo di rilascio della licenza di abilitazione senza precisare se tale luogo coincide con quello di iscrizione della nave. Dalla documentazione versata in atti risulta che la lettera di dimissioni è stata recapitata in foro diverso da quello ritenuto competente territorialmente dall’opponente. Per tali ragioni la eccezione di incompetenza non può ritenersi fondata. Sussistono i presupposti per la condanna ai sensi dell’art. 96 c. 3 c.p.c. (anche a prescindere dall’esistenza di un danno) da commisurarsi equitativamente all’ammontare delle spese di lite.
Tribunale di Roma sez. Lavoro, Sentenza n. 6571/2017.
La casa familiare può essere assegnata alla madre in applicazione del criterio preferenziale di cui all’art. 337 sexies c.c.
Tribunale di Roma, sez. I civile, Decreto R.G. n. 4427/2016.
“Nel giudizio di appello le parti hanno l’onere di esporre i motivi specifici di impugnazione, ai sensi dell’art 342 c.p.c., e di dedurre i vizi che determinano la nullità della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art 161 c.p.c.. In particolare, l’art 342 c.p.c. dispone che la motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità: (1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; (2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. L’odierna appellante, invece, nel proprio atto di citazione in appello, censura in modo generico una totale mancanza di motivazione del provvedimento impugnato in ordine a punti rilevanti e decisivi della controversia ed un contraddittorio, erroneo e semplicistico ragionamento logico condotto dal Giudice di prime cure. Le parti della sentenza ritenute viziate non vengono indicate in modo puntuale. L’appellante, infatti, fa mero riferimento alle parti in cui: (a) il Giudice ha basato la propria decisione solo su una presunta maggiore affidabilità dei testi di parte opposta e sull’erroneo presupposto di una mancata contestazione, da parte dello scrivente, dell’avvenuta esecuzione dei lavori; (b) il Giudice ha fondato l’iter decisionale su prove inammissibili non tenendo in considerazione la specifica eccezione di inammissibilità delle stesse, sollevata dall’Associazione nel corso del giudizio di primo grado; (c) nulla ha detto, nonostante le esplicite contestazioni dell’Associazione, sull’assenza di qualsiasi prova circa il conferimento dell’incarico. La forma della citazione risulta, quindi, carente dei requisiti di ammissibilità dell’appello, sia per quanto riguarda la censura relativa all’asserita mancanza di motivazione della sentenza di primo grado in ordine a punti decisivi e rilevanti della controversia, come rilevato anche da parte appellata nel proprio atto introduttivo nel presente giudizio; sia per quanto concerne la lamentata violazione dell’art 2721 c.c.”
Tribunale di Roma, sez. XI civile, Sentenza n. 7327/2017.
Può essere riconosciuta la protezione umanitaria poiché il ricorrente è divenuto padre di un bambino, avuto dalla moglie convivente. Tale circostanza, unitamente al divieto di espulsione previsto dall’art. 19, comma 2 lett. d del D.lvo n. 286/98 si ritiene possa essere valutata sotto il profilo strettamente umanitario in ragione del fatto che tali ragioni di tutela dello straniero si presentano come meramente temporanee attesa l’instabilità sociale ed economica del Paese d’origine.
Tribunale di Roma, sez. I civile, Ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., R.G. n. 26879/2015.
Nonostante vi siano sentenze di merito di parere difforme, in questo caso il Tribunale di Roma ha affermato che “ritenuto che in base ai documenti prodotti il credito non risulti certo, liquido ed esigibile in quanto la differenza tra importo liquidato e quello richiesto con il presente ricorso dipende da modifiche legislative in tema di rendimento dei buoni fruttiferi postali come tali vincolanti per le parti contraenti.
Tribunale di Roma, Decreto di Rigetto NRG 10579/2017.
in quanto la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria deve essere assicurata mediante il rispetto di una sequenza ordinaria secondo una progressione di atti, con le relative notificazioni, destinati a farla conoscere ai destinatari, per rendere possibile a questi ultimi, un efficace esercizio del diritto di difesa (Cass. 1532/2012 e Cass 16412/2007).
Commissione Tributaria Regionale di Roma- Sez. 11- Sentenza n.1740/2017.
L’art. 203 C.d.S. stabilisce, al comma 1 bis, che il ricorso avverso il verbale di accertamento “può essere presentato direttamente al Prefetto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”. L’art. 204 C.d.S. al comma 1, fa decorrere il termine di 120 giorni per l’adozione da parte dell’autorità prefettizia dell’ordinanza ingiuntiva dalla ricezione degli atti da parte dell’ufficio accertatore, termine cui vanno aggiunti quelli stabiliti dai commi 1bis e 2 dell’art. 203 C.d.S. ai fini della considerazione della tempestività dell’ordinanza ingiunzione. Dunque l’intero meccanismo procedimentale trae origine e termine iniziale dalla data di ricevimento del ricorso da parte del Prefetto. Pertanto, nel caso in cui la Prefettura non fornisce prova di eventuali atti sospensivi dei termini di cui all’art. 204 C.d.S., l’ordinanza ingiuntiva emessa oltre i 180 giorni deve essere annullata.
Giudice di Pace di Roma, sez. I civile, Sentenza n. 16106/2017.
L’art. 21 d.lgs 276/03 prevede che il contratto di somministrazione debba essere stipulato per iscritto, con indicazione della data di inizio e della durata prevista del contratto di somministrazione ed al comma 3 aggiunge che dette informazioni, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all’atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore. L’art. 22 prevede poi al comma 2 che il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore. Da tali previsioni si ricava che anche la proroga deve essere frutto di accordo scritto tra somministratore e utilizzatore e deve altresì essere comunicata ed accettata dal lavoratore.
Nel caso in esame seppure le diverse proroghe del contratto di somministrazione sono state comunicate ed accettate dalla ricorrente, Roma Capitale non ha allegato l’accordo o gli accordi commerciali, intervenuti tra somministratore e utilizzatore e relativi alle proroghe.
In assenza della forma scritta imposta ab substantiam dal legislatore, tutte le proroghe del contratto di somministrazione sono irrimediabilmente nulle.
Conseguentemente tutte le proroghe dei contratti di somministrazione vanno dichiarate nulle e Roma Capitale va condannata a risarcire alla ricorrente il danno che, visto l’art. 32 comma 4 legge n. 183/2010, deve essere quantificato in quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, pari ad € 5.185,20 (1.196,55 x 13 :12 x 4), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data della cessazione del rapporto al saldo.
Tribunale di Roma sez. Lavoro, Sentenza n. 3448/2016.
La giurisprudenza di merito ha chiarito che “non può concedersi la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto ex art. 648 c.p.c. - e se già concessa va sospesa in forza dell'art. 649 c.p.c. - qualora l'attore opponente abbia tempestivamente provveduto a disconoscere la scrittura privata contro di lui prodotta” (Tribunale di Latina del 20.02.1996); a favore di detta opzione interpretativa, sussistono anche disposizioni del codice di rito tra cui l’art. 186 ter c.p.c. secondo cui “la provvisoria esecutività non può essere mai disposta ove la controparte abbia disconosciuto la scrittura privata prodotta contro di lei”
Tribunale di Roma, Ordinanza Nrg. 14932/2016.
Diversamente se l’opposta avesse voluto ottenere differenze retributive su diverso e/o superiore inquadramento avrebbe dovuto proporre un autonomo giudizio ordinario volto all’accertamento dei dati di fatto da porre alla base della quantificazione di una diversa retribuzione globale di fatto.
Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 9363/2016.
Ai sensi dell’art. 2602 cod. civ., la stipulazione del contratto di consorzio non comporta l’assorbimento delle imprese contraenti in un organismo unitario, deputato allo svolgimento di un’attività rispetto alla quale quella delle singole imprese si ponga in rapporto di mezzo a fine, ma solo la costituzione di una organizzazione comune per la disciplina e per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive attività, avente quindi essa stessa carattere strumentale rispetto a quella delle imprese consorziate. In tal senso depone non solo la conservazione dell’autonomia delle imprese, rispetto alle quali il consorzio si caratterizza come un distinto centro d’imputazione di rapporti giuridici, dotato di un fondo consortile che rimane sottratto all’aggressione dei creditori particolari dei consorziati (art. 2614 cc), ma anche la presenza di organi consortili distinti da quelli delle singole imprese (art. 2603, comma 1, n. 4 cc) e la configurazione del rapporto intercorrente tra queste ultime ed il consorzio come mandato (art. 2609 cc), il quale postula l’alterità delle rispettive sfere giuridiche, indipendentemente dall’immediatezza dell’imputazione degli effetti degli atti compiuti dal mandatario. Decisiva risulta poi la disciplina della responsabilità nei confronti dei terzi dettata dall’art. 2615 cc per i consorzi con attività esterna, la quale prende in considerazione soltanto le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio, distinguendo tra quelle contratte in nome di quest’ultimo, per le quali il comma 1 prevede la responsabilità esclusiva del fondo consortile, e quelle assunte per conto dei singoli consorziati, per le quali il comma 2 prevede la responsabilità di questi ultimi, in solido con il fondo consortile. La responsabilità solidale del consorzio non è pertanto configurabile in riferimento alle obbligazioni contratte dalle singole imprese, le quali, nei rapporti con i terzi, non sono legittimate ad impegnare il consorzio, essendo quest’ultimo dotato di propri organi e dovendo escludersi che la mera costituzione dell’organizzazione comune comporti, in assenza di specifiche disposizioni, il conferimento ai consorziati di un mandato ad agire per conto della stessa; nè tale mandato è ricollegabile all’assegnazione dei lavori, la quale, comportando l’individuazione dell’impresa incaricata dell’esecuzione delle opere, nell’ambito della funzione di coordinamento affidata al consorzio, determina una responsabilità solidale di quest’ultimo nei confronti dei terzi con cui esso abbia contrattato, ma non anche nei confronti di quelli che abbiano contrattato con l’impresa consorziata. Infatti, nell’art. 2615 cc manca qualsiasi riferimento alle obbligazioni assunte dai singoli consorziati, dovendo ritenersi che, in coerenza con l’indicata struttura del rapporto intercorrente con questi ultimi, il legislatore abbia in tal modo inteso confermare l’assoluta estraneità del consorzio alle stesse, conformemente al principio generale di cui all’art. 1372 c.c., comma 2.
Tribunale di Chieti, Sentenza n. 710/2016.
La fase dell'opposizione ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51, non costituisce un grado diverso rispetto alla fase che ha preceduto l'ordinanza bensì una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente (cfr. Cass. Sez. lav. sent. n. 3136 del 17.2.2015). Contestazioni disciplinari: "La previa contestazione dell'addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ." (Cass. sez. lav. sent. n. 11045 del 10/06/2004). Proporzionalità della sanzione: La Suprema Corte ha inoltre ritenuto che " In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione non già l'assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obil divieto dello ius novorum sancito dall’art. 345 e 437 cpc. Tale divieto impedisce, infatti, che possano essere blighi assunti" (Cass. sez. lav. sent. n. 16260 del 19.8.2004). Divieto di ius novorum sancito dall’art. 345 e 437 cpc: Tale divieto impedisce, infatti, che possano essere prospettate nel giudizio di appello ragioni di indagine diverse da quelle sviluppate ed esplorate dal giudice di primo grado, con conseguente inammissibilità delle nuove domande o delle nuove eccezioni proposte dalle parti (sulla applicabilità delle predette disposizioni anche al giudizio di reclamo si veda Cass., sent. n. 23021 del 2014, nella quale la Suprema Corte ha ritenuto che “La disciplina speciale prevista dall'art. 1, comma 58, della legge 28 giugno 2012, n. 92, concernente il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, va integrata con quella dell' appello nel rito del lavoro”). Disconoscimento del documento tempestivamente prodotto in giudizio: gli art. 214 e 215 cpc dispongono che “Colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione” e che “La scrittura privata prodotta si ha per riconosciuta ...... se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”. Condizioni oggettive di cui all’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Tribunale di Roma sez. Lavoro, Sentenza n. 5038/2016 e Corte di Appello di Roma sez lavoro, Sentenza n. 4763/2016.
Le S.U. n. 4126 del 17.06.1988 sanciscono che l’assunzione dell’obbligo di erogazione delle spese necessarie per l’esercizio dei servizi comuni rientra, ai sensi dell’art. 1130 n. 3 c.c. fra le attribuzioni proprie dell’amministratore del condominio, senza che al riguardo occorra alcuna delibera della assemblea dei condomini…attesi i poteri di rappresentanza a questo spettanti ai sensi dell’art. 1131, co. 1, c.c., che rinvia alle attribuzioni stabilite dall’art. 1130 c.c.
Tribunale civile di Velletri, Sentenza n. 2912/2016.
A mente dell’art. 4 del Testo Integrato Morosità Gas (TIMG), rubricato “costituzione in mora del cliente finale”, l’esercente la vendita è tenuto ad effettuare la costituzione in mora del cliente finale mediante comunicazione scritta a mezzo raccomandata, in cui devono essere almeno indicati il termine ultimo entro cui il cliente è tenuto a provvedere al pagamento e il termine decorso il quale, in costanza di mora, l’esercente la vendita provvederà ad inviare all’impresa di distribuzione la richiesta di chiusura del punto di riconsegna; i costi delle operazioni di chiusura. Per cui solo in caso di morosità ed a seguito di inoltro della suddetta costituzione in mora, può essere richiesta la sospensione della fornitura e a mente dell’art. 5.2 lett. A “la richiesta di chiusura del punto di riconsegna per sospensione della fornitura per morosità non può essere presentata nel caso in cui non sia stata effettuata la comunicazione di cui al comma 4.1 nei modi ivi stabiliti”. Per cui in assenza di morosità o di lettera di messa in mora la procedura è illegittima e l’utente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale. Ad avviso del Tribunale tale danno può dirsi provato solo con riferimento all’ingiusta procedura di default avviata in assenza di morosità e di lettera di messa in mora e non anche rispetto alle fatture inviate da Eni che non è provato che corrispondano ai consumi effettivi. Va poi riconosciuto anche il danno non patrimoniale richiesto. Tenuto conto dell’essenzialità del servizio prestato che implica che il distacco della fornitura avrebbe comportato l’impossibilità per l’attore di provvedere ai più elementari bisogni alimentari ed igienici propri e della propria famiglia, la ripetuta minaccia e il tentativo di distacco della fornitura accompagnati anche da false rassicurazioni sull’inesistenza della morosità e sulla immediata risoluzione del problema in realtà mai avvenuta, giustificano l’allegato stato d’ansia non qualificabile come mero disagio e, pertanto, l’esistenza di un danno non patrimoniale. Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dall’art. 2059 c.c. Nella specie il lungo periodo per cui si è protratto l’ingiusto comportamento della società somministrante senza che la stessa abbia mai fornito all’utente comunicazioni esatte al fine di risolvere il problema, impongono la condanna della convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale che può avvenire anche in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.c.
Tribunale di Roma, sez. VIII civile, Sentenza n. 17675/2016.
Il Giudice ordina ad Eni di desistere da ogni iniziativa volta alla disalimentazione fisica del punto di riconsegna.
Tribunale di Roma, sez. VIII civile, Ordinanza Cautelare R.G. n. 38093/14
Per poter esercitare il potere conferito dall’art. 2476 c.c. e, dunque, esercitare l’azione di responsabilità degli amministratori e di controllo da parte dei soci, occorre essere quotista, quindi partecipare alla società senza partecipare all’amministrazione oltre che avere un interesse attuale e concreto valutabile ex art. 100 c.p.c, diversamente si configura un difetto di legittimazione attiva con conseguente inammissibilità dell’azione proposta in via di cautela ex art. 2476 c.c. e 700 c.p.c..
Tribunale di Bologna- sezione specializzata imprese - Ordinanza Nrg. 13590/2015.
Nell’ambito della perizia preventiva ex art. 669 bis c.c., la finalità conciliativa deve corrispondere a criteri di effettività e ciò non appare possibile qualora si controverta anche su fatti che esulano dall’ambito delle indagini di natura meramente tecnica demandabili al CTU.
Tribunale di Bologna-sezione specializzata imprese- Ordinanza Nrg. 14055/2015.
È inammissibile, in considerazione della presenza dello strumento cautelare tipico previsto dagli artt. 2378, comma 3 e 2479Ter, comma 4 c.c., il ricorso ex art. 700 c.p.c. che si risolva nella richiesta di un provvedimento di sospensione degli effetti di delibera assembleare.
Tribunale di Bologna-sezione specializzata imprese- Ordinanza Nrg. 16089/2015.
Presupposto del sequestro giudiziario, ex art. 670 c.p.c. è la sussistenza di una controversia sulla proprietà o il possesso di beni mobili o immobili e l’opportunità di provvedere alla loro custodia. A tal proposito, non configura un’ipotesi di controversia sulla proprietà l’azione di risoluzione per inadempimento, se non sia contestualmente svolta la domanda restitutoria. Così Trib. Modena, Giud. Dott. Pagliani G., 13 settembre 2007. In ogni caso ai fini della concessione del sequestro giudiziario non è sufficiente la sussistenza formale di una controversia su proprietà e possesso, ma occorre che il diritto rivendicato dal ricorrente sia sostenuto da ragionevole e probabile fondatezza.
Tribunale di Bologna- sezione specializzata imprese - Ordinanza Nrg. 19705/2015., Tribunale di Bologna - sezione specializzata imprese - Ordinanza cautelare Nrg. 19705/2015.
L’iscrizione alla gestione commercianti è obbligatoria per il socio accomandatario o per il socio amministratore di una società a responsabilità limitata che opera nel settore commerciale, al fine di evitare che, grazie allo schermo della struttura societaria, la prestazione di lavoro del socio, resa nella compagine, venga sottratta alla contribuzione previdenziale, ancorché non si discosti da quella prestata dall'unico titolare della ditta commerciale. Dunque l’obbligo di iscrizione ed il conseguente obbligo contributivo discendono dall’essere socio della società commerciale e dall'espletare attività lavorativa presso la relativa impresa (così Cass., Ordinanza n. 20268 del 19/11/2012). Come osservato dalla S.C. nella sentenza n. 845/2010, non è sufficiente la mera qualità di socio accomandatario e/o amministratore, ma l’obbligo all’iscrizione alla gestione commercianti consegue all’accertamento di certi presupposti. In particolare i presupposti richiesti per l'iscrizione obbligatoria del ricorrente nella gestione degli esercenti attività commerciali sono quelli individuati dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, che devono essere accertati “Sulla scorta delle risultanze di fatto accertate dal giudice …” (così Cass. n. 845/2010) – In altri termini, il presupposto per l’iscrizione alla gestione commercianti è la partecipazione allo svolgimento delle attività commerciali. Invero, l’art. 1, co. 203, legge 662/96 ha disposto l’obbligo dell’iscrizione alla gestione commercianti dei titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate prevalentemente con il lavoro proprio qualora il soggetto abbia piena responsabilità dell’impresa con assunzione di oneri e rischi di gestione e partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza. Recentemente la S.C., in analoga fattispecie, ha rilevato come non possa essere desunto l'obbligo di iscrizione alla gestione commercianti sulla base di elementi di carattere fiscale, in quanto tali elementi non rilevano sul piano previdenziale (vd. Cass., Ordinanza n. 3145/2013). Ne consegue l’irrilevanza della segnalazione sul quadro RK della dichiarazione dei redditi del ricorrente. Peraltro, anche ove si volesse attribuire efficacia di confessione stragiudiziale a tale indicazione, si tratterebbe comunque di una dichiarazione fatta ad un terzo, cioè all’Agenzia delle Entrate, per cui sarebbe inidonea a fornire piena prova ma solo, a norma dell’art. 2735 c.c., liberamente valutabile dal Giudice.
Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 5137/2016.
Opposizione e richiesta di sospensione provvisoria esecuzione decreto ingiuntivo ai sensi e per l’effetto dell’art. 649 c.p.c. – Ordinanza di sospensione provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo per sussistenza dei gravi motivi di cui all’art. 649 c.p.c. – Inidoneità della documentazione prodotta dalla banca opposta. Ricorrono i gravi motivi di cui all’art. 649 c.p.c. per la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, dovendosi ritenere che, da un lato, in considerazione dell’entità della somma ingiunta e della situazione debitoria in cui si trova la società opponente, l’esecuzione per un credito in ipotesi non provato nell’an e nel quantum provocherebbe un pregiudizio idoneo ad incidere sulla prosecuzione della sua attività, e che, dall’altro, l’opposizione appare, allo stato, quanto meno in parte, fondata, in considerazione dell’inidoneità della documentazione prodotta dalla banca opposta, dalla quale non è possibile evincere le specifiche pattuizioni originare regolanti il rapporto di conto corrente intercorso fra le parti, a fornire, in un ordinario giudizio di cognizione qual è la presente opposizione a decreto ingiuntivo, la piena prova del credito vantato;
Tribunale di Roma, Ordinanza Nrg. 73170/2015.
Infortunio in itinere Documentazione INAIL attestante il protrarsi dell’infortunio fa piena prova dell’assenza giustificata dal posto di lavoro. Grava sul datore l’onere di provare la non veridicità. Illegittimità del licenziamento, obbligo di reintegra e risarcimento del danno ex art. 18 Statuto Lavoratori.
Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Ordinanza Nrg 36894/2013; Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n.10240/2015; Corte di Appello di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza, n. 1384/2016.
dunque stante il difetto di notifica dell’avviso di accertamento non poteva essere emessa la successiva cartella esattoriale che va di conseguenza annullata.
Commissione Tributaria Provinciale di Roma- Sez. 63 - Sentenza n.1941/2016 .
Il condominio di un edificio e così il proprietario quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all'art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati a terzi, alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile comportanti la concorrente responsabilità del costruttore-venditore, ex art. 1669 c.c., non potendosi equiparare i difetti originari dell'immobile al caso fortuito, che costituisce l'unica causa di esonero del custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c. Qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di ulteriori danni, il condominio può, poi, essere obbligato anche a rimuovere le cause del danno stesso, ex art. 1172 c.c. La responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perché essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l'attore dimostri il verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode (v. Cassazione civile, sez. III, 19/05/2011, n. 11016).
Tribunale civile di Civitavecchia, Sentenza n. 1041/2015.
Per l’applicazione dell’art. 2051 c.c., è necessario che il danno sia stato arrecato non già “con la cosa” sebbene “dalla cosa” in custodia la quale entra nel processo produttivo del danno non come mera occasione bensì come causa o concausa (in concorso con altri fattori causali) dello stesso: perché arrecato dalla cosa direttamente, a causa del suo intrinseco potere ovvero perché arrecato da un agente o processo dannoso insorto od eccitato nella cosa (Cass. Civ., 12/6/1973 n. 1698 e succ. conformi). Nella fattispecie de qua agitur, la prova espletata ha comprovato la prospettazione sicchè non può escludersi che il danno sia stato arrecato direttamente dalla cosa ovvero da un agente dannoso insorto in essa (v. in tal senso Cass. 24/11/1979 n. 6148, in Giur. It. 1980, I, 1, 557 e Cass. 24/1/1975 n. 280, in Giur. it. 1978, I, 1, 2044, che hanno escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. ai danni subiti dal cliente di una banca scivolato sul pavimento bagnato, affermando che tale norma non può trovare applicazione nell’ipotesi di danni che non derivino dalla cosa in sé, ma da comportamenti dolosi o colposi di chi la detiene; cfr. Cass. Civ., 23/3/1992 n. 3594, in Foro it. 1993, I, 198, in cui non è stato ritenuto applicabile l’art 2051 c.c. ai danni subiti da un avvocato nel discendere da una pedana in un’aula di giustizia e v. tante altre ancora: ad esempio, Cass. 27/3/1972 n. 987, in Resp. civ. prev. 1972, 547, con la quale è stata respinta l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. in materia di danni subiti dal cliente di un negozio scivolato sul pavimento umido; Cass. 16/2/1976 n. 506, in Arc. Civ. 1976, 1209; Cass. 6/7/1978 n. 3364, inedita, e Cass. 1/6/1995 n. 6125, in Dir. Econ. Ass. 1995, 973, con le quali è stata scartata l’applicabilità dell’art 2051 c.c ai proprietari di alberghi per i danni subiti da clienti caduti rispettivamente nella hall, su un tappeto e nella doccia).
Tribunale civile di Civitavecchia, Sentenza n. 1041/2015.
In conformità ad una giurisprudenza più che consolidata della Corte Suprema, i presupposti della presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia di cui all'art. 2051 c.c. sono: a) la verificazione del danno nell'ambito del dinamismo connaturato alla cosa o dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa; b) l'esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi.
Tribunale civile di Civitavecchia, Sentenza n. 1041/2015.
In ordine alla prova liberatoria dalla responsabilità per custodia ed in ordine alla ripartizione dell'onere della prova, è pacifico che alla parte attrice compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre la parte convenuta, per liberarsi, dovrà provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) che presenti i caratteri del fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità. Sempre sul tema della prova liberatoria, e dell’incidenza del comportamento del danneggiato, è stato affermato (v. Cass. Civile, sentenza n. 2430 del 2004) che il profilo del comportamento del custode è, a rigore, estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all'art. 2051 c.c. ed il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da caso fortuito. Al contempo si sottolinea che, quando la cosa svolge solo il ruolo di occasione dell'evento ed è svilita a mero tramite del danno in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato, si verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno. Il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno, estraneo alla cosa, va ovviamente adeguato alla natura della cosa ed alla sua pericolosità, nel senso che tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere dunque la responsabilità del custode ai sensi dell’art.2051 c.c..
Tribunale civile di Civitavecchia, Sentenza n. 1041/2015.
Mentre il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c. la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (sent. 500/1999), quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge (e quindi ai fatti costituenti reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario produttivi di tale tipo di danno) e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona presieduti dalla tutela minima risarcitoria (sent. n. 15027/2005; n. 23918/2006), con la precisazione, in quest'ultimo caso, che “la rilevanza costituzionale deve riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio conseguentemente sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e cioè superi la soglia minima di tollerabilità, imposta dai doveri di solidarietà sociale) e che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o sia addirittura meramente immaginario)” (v. in tal senso, espressamente, Cass. Civ., S.U., 19.8.2009, n. 18356).
Tribunale civile di Civitavecchia, Sentenza n. 1041/2015.
A fronte della eccezione di carenza di legittimazione passiva la ricorrente lavoratrice dipendente ha chiesto la chiamato in causa di terzo. La chiamata in causa di terzo e rimessa nel rito del lavoro al potere discrezionale del giudice (Cass. 17218/04) L’erronea individuazione del legittimato passivo comporta il rigetto della domanda nei suoi confronti, laddove non comporta né la chiamata in causa del terzo, atteso che tale istituto è previsto per il caso di rapporti connessi per il titolo e/o per l’oggetto e non invece per il caso di unico rapporto, né l’integrazione del contraddittorio (Cass. 9809/2011) atteso che il litisconsorzio necessario sussiste quando si deduce in giudizio un rapporto giuridico plurisoggettivo, unico ed inscindibile, sul quale si debba necessariamente decidere in maniera unitaria nei confronti di tutti i contitolari e non invece in un mero rapporto bilaterale.
Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Ordinanza Nrg 24941/2014.
Il Giudice non può pronunciarsi in ordine ad una domanda non proposta di corresponsione di emolumenti sulla base della contrattazione collettiva del settore, legno ed arredo artigianato applicato dall’imprenditore. Il Giudice non può pronunciarsi a norma dell’art. 112 c.p.c. oltre i limiti della domanda. Trattasi in particolare di domanda diversa in quanto caratterizzata da causa petendi fondata su regolamentazione contrattuale non prospettata in ricorso, di modo che, opinando diversamente si porrebbe al giudice un nuovo tema di indagine (anche in ordine all’inquadramento spettante alla lavoratrice) e si sposterebbe sostanzialmente i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa di entrambe le parti ed alterare il regolare svolgimento del processo. Tale domanda anche ove fosse stata proposta in corso di causa, avrebbe costituito una mutatio libelli avendo i caratteri della novità. E già dall’art. 414, 416 e 420 cpc emerge che già nel corso del giudizi di primo grado, è vietato proporre domande ed eccezioni nuove, fondate su circostanze e prospettazioni giuridiche diverse da quelle poste a sostegno della originaria domanda e che inseriscono nel processo un nuovo tema di indagine. La violazione di tale normativa è rilevabile anche d’ufficio (Cass. 7707/2008) anche in caso di accettazione del contraddittorio. Il divieto e ribadito dall’art. 437 c.p.c. con riferimento al grado di appello; anche in questa fase è rilevabile anche d’ufficio ed irrilevante l’accettazione del contraddittorio. Non si avrebbe semplice emendatio libelli non risultando modificata solo l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto o meramente limitata la pretesa per renderla più idonea al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere. Peraltro, anche in questo caso, la lavoratrice avrebbe dovuto proporre apposita istanza in prima udienza ed avrebbe dovuto essere autorizzata dal Giudice alla modifica in presenza di “gravi motivi” da valutare rigorosamente in conseguenza della novità di oggetto e di fatti introdotti nel giudizio dal resistente o da terzi interventori e della dimostrazione della impossibilità di una tempestiva ed esatta allegazione.
Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 9228/2015 e Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 9229/2015.
Sebbene non siano da ravvisare i gravi motivi di cui all’art. 649 c.p.c. per sospendere tout court provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; pur rilevando come incidentalmente tali motivi possono essere desunti dalla formulazione dell’art. 648 c.p.c. (in chiave prognostica rispetto alla fondatezza dei motivi di opposizione proposti) le eccezioni di parte opponente a sostegno della opposizione si presentano allo stato dotate di idonei riscontri solo in misura parziale.
Tribunale di Arezzo, Ordinanza Nrg. 725/2015.
In ambito alla pretese economiche conseguenti al riconoscimento della paternità occorre distinguere tra l’azione restitutoria proposta per le somme anticipate dalla nascita del bambino e l’azione volta alla definizione dell’entità del contributo dovuto a titolo di mantenimento, la cui decorrenza è fissata dal momento del deposito del ricorso introduttivo con cui la domanda è stata proposta. Nel caso specifico l’azione restitutoria proposta in giudizio (si tratta della restituzione di quota parte delle somme anticipate dalla madre per il mantenimento del figlio dalla nascita alla proposizione del ricorso) non è ammissibile perché la madre ha dichiarato in ricorso di agire esclusivamente a titolo di rappresentanza degli interessi del figlio, mentre per il credito in questione sarebbe riconducibile la legittimazione attiva solo iure proprio (si tratta di azione di regresso esercitabile solo dal condebitore solidale ai sensi dell’art. 1299 c.c.) Per quanto attiene invece il contributo al mantenimento del figlio dovuto dal genitore e convenuto in giudizio la somma è dovuta dal momento della proposizione della domanda vale a dire dal momento del deposito del ricorso introduttivo.
Tribunale per i minorenni di Roma Sentenza n. 18/2015.
Nonostante non vi sia un orientamento giuridico uniforme in merito alla ammissibilità di tale strumento giuridico alternativo e deflattivo del contenzioso giudiziale in materia di rapporti banca-cliente, in questo caso specifico il Tribunale di Velletri ha ritenuto ammissibile e legittimo tale consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi.
Tribunale di Velletri Ordinanza n. 9731/2014.